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Ancora 1
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Lo straordinario miracolo della nascita

     Pervasi e condizionati da una cultura deterministica, siamo convinti di aver capito come si manifesta la vita, in realtà non affrontiamo il problema dalla sua vera radice. Siamo abituati a collegare gli eventi strettamente fra loro: l’albero cresce perché viene piantato il seme; un individuo nasce perché un ovulo femminile incontra uno spermatozoo maschile. La correlazione di eventi collegati tra loro in modo causa ed effetto diventa così abituale che, automaticamente, siamo portati a pensare l’incontro tra uno spermatozoo e un ovulo, la causa razionale del nostro venire al mondo. Inutile porsi altri interrogativi: il determinismo è pienamente rispettato con buona pace di inutili ulteriori pruriti intellettuali. In effetti il pensiero razionale è incline a pensare un mondo ordinato e regolare, mentre è riluttante a concepire i concetti di caos e di caso da cui il primo deriva rappresentandone, non a caso, l’anagramma. Per questa tendenza di fondo della mente razionale risulta ancora poco interiorizzato il fatto per cui da tempo è stato dimostrato che, al suo livello fondamentale, l’universo è senz’altro non deterministico. Di conseguenza mi sono chiesto se il caso può aver condizionato e influenzato anche la mia nascita. Evitando di cadere nella trappola dell’antropocentrismo, mi sono cimentato a fare qualche conto. Vi sono nell’universo conosciuto almeno 3 miliardi di miliardi di mondi potenzialmente in grado di esprimere la vita. Ammettiamo, per semplificare, che la terra rappresenti una media in termini di esseri viventi intelligenti che, normalmente, popolano questi mondi. Ne scaturisce il calcolo seguente:

  • nel 1948 (anno del mio concepimento) gli abitanti della terra erano 2.500 milioni circa;

  • di essi almeno 1.300 milioni circa erano in periodo fertile;

  • ne deriva un numero di esseri viventi, potenzialmente in grado di accoppiarsi e concepire, pari a 4.000 miliardi di miliardi di miliardi: un 4 seguito da 30 zeri;

  • dividendo questa enorme popolazione per due (o un numero molto vicino al due), troviamo la probabilità che, in assoluto, nell’universo, mio padre ha avuto di incontrare mia madre.

      Per restare sulla Terra, si stima che negli ultimi 100.000 anni siano vissuti 82 miliardi di uomini. Nonostante questi numeri da capogiro, abbiamo appena iniziato i conteggi. Sappiamo infatti che il ritmo di produzione degli spermatozoi maschili è pressoché costante e stimabile in circa 100-200 milioni al giorno. Questi vengono convogliati nell'epididimo in cui, nei 12 giorni necessari a percorrerlo, completano la propria maturazione, acquisendo motilità. Sono quindi immagazzinati sino all'eiaculazione, durante la quale un uomo espelle in media 300 milioni di spermatozoi. Abbinando il periodo fertile di un uomo (14-80 anni) al numero medio dei rapporti sessuali possibili nello stesso periodo (3 a settimana; 150 per anno; 10.000 totali), si calcola che un uomo è in grado di produrre, in assoluto, nel corso della sua esistenza, oltre 3.000 miliardi di vite potenzialmente diverse che, per divenire effettivamente tali, devono combinarsi in modo del tutto casuale con i 2 milioni circa di ovuli femminili che una donna è in grado di produrre mediamente nel corso della sua vita. Com'è noto gli spermatozoi compiono una lunga corsa per rag­giungere l’ovulo e uno solo, nella logica di una gigantesca lotteria, penetra al suo interno, fecondandolo. Queste due cellule iniziali (ovulo e spermatozoo) sono diverse da tut­te le altre del corpo per una caratteristica unica: posseg­gono solo ventitré cromosomi, anziché quarantasei. Unen­dosi insieme, ricostituiscono una cellula con quarantasei cro­mosomi, che si raddoppierà in due, quattro, otto, sedici, trentadue cellule, e così via per dare origine a un organismo completo. Quello che è meno noto, ma che conferma il nostro assunto, è che gli spermatozoi non sono tutti uguali; infatti, come un individuo che estrae 23 libri da uno scaffale che ne contiene 46 può prendere il 1°, il 3°, il 4°, oppure il 2°, il 6°, l'8° ecc., allo stesso modo i 23 cro­mosomi contenuti in uno spermatozoo non sono uguali a quelli di un altro spermatozoo: si calcola che gli spermatozoi di un individuo possono essere diversi in otto milioni di modi. Lo stesso discorso vale per l'ovulo femminile. A conti fatti, si pensa che, tenuto conto delle varie combinazioni, un figlio che nasce da due genitori è estratto a sorte tra mi­liardi di miliardi di figli possibili, tutti diversi l’uno dall'altro. Cifre da ritenere sufficienti per dimostrare la sterminata gamma di possibilità tutte casuali che sono alla base della nascita. Si ricorda in proposito che il calcolo ha preso in esame un solo uomo e una sola donna, se moltiplicassimo la cifra risultante con il numero di potenziali abitanti dell’Universo, scaturirebbe un numero molto difficile da scrivere e comunque, ammesso di riuscirci, da comprendere.

      Ce n’è abbastanza perché ognuno di noi possa sentirsi fiero, risultando il frutto di una combinazione casuale con una probabilità talmente minima, quasi inesistente, di verificarsi (trovarsi estratto vincente il biglietto della lotteria, in confronto, potrebbe verificarsi praticamente ad ogni secondo) la nostra nascita può senz’altro definirsi molto più di un prodigioso miracolo. Considerate le tremende prove superate per venire al mondo potremmo considerarci Dei. E, sicuramente, nei confronti di quella immensa moltitudine che non è stata estratta dalla sorte, siamo sicuramente una divinità, ma purtroppo a metà: conosciamo il come, il dove e il quando ma ci manca ancora il perché! E’ forse questo perché l’ombelico dell’universo e dell’esistenza? Occorre valutare l’esistenza in un ambito più ampio per darle un significato?

Ere astrali e antiche civiltà

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Ancora 2

       Negli anni che mi iniziarono all’astrologia rimasi quasi traumatizzato nello sviluppare il posizionamento astrale alla mia nascita (30 ottobre) utilizzando un software dedicato. Con mia somma sorpresa e incredulità, il software mi diceva che alla mia venuta al mondo il sole non transitava affatto nella costellazione dello SCORPIONE, bensì su quella della VERGINE ben due costellazioni prima di quella che da sempre mi era stata indicata quale mio segno astrologico di riferimento. Le ricerche compiute per capire dove stesse l’errore mi portarono a scoprire che il fenomeno era noto da tempo con il nome di “precessione degli equinozi” che determina uno spostamento delle stelle rispetto allo zodiaco di 1 grado ogni 72 anni. Questo spiega anche perché l’astrologia è fatta risalire a oltre 4.000 anni fa: era a quell’epoca lontana infatti che il sole, il 30 ottobre, transitava nella costellazione dello scorpione. Sta di fatto che ogni 2.160 anni la posizione di una costellazione ruota di un posto, occupando quello che la precede alla sua sinistra (toro-ariete-pesci-acquario-capricorno-ecc.). E’ in forza di questo maestoso marchingegno celeste che molti studiosi di varie discipline sono convinti che in un’era lontana sia esistita sulla terra una civiltà molto evoluta e comunque in grado di calcolare al centesimo un meccanismo così complicato e lento nel tempo, sino a farne, addirittura un simbolo di comunicazione e di cultura per secoli e secoli. Volendo verificare se esistono prove per cui lo spostamento del punto vernale da una costellazione ad un'altra segna il passaggio dell'umanità da una fase di civiltà ad un'altra, possiamo tentare di ripercorrere le espressioni più significative delle diverse epoche storiche.

- dal 4.300 al 2.200 a.C. circa, durante la civiltà assiro babilonese, il punto vernale si trovava nella costellazione del Toro. In Babilonia c'era il culto del Dio Marduk, raffigurato come un torello nel Sole. In Egitto sono venerati Api, il toro sacro, e la dea Athor rappresentata con testa di vacca e il disco del sole fra le corna. Pensiamo alle tombe dei faraoni, alla conservazione dei valori materiali, alle spiccate tendenze della mentalità egizia che corrispondono alle caratteristiche attribuite al tipo "toro". Si ricorda poi la leggenda del Minotauro che molti storici datano intorno al 1800-2000 a.C. e che potrebbe significare la fine di un'epoca (il toro) e l'inizio della nuova era. In tal caso Teseo rappresenterebbe il segno dell'Ariete.

- Dal 2.000 circa all'inizio della nostra era, il punto vernale si sposta nella costellazione dell'Ariete. L'animale sacrificale degli antichi ebrei è l'agnello, presso i greci si celebrano i "Misteri di Ariete". Ricordiamo gli argonauti, il vello d'oro e via dicendo. E' epoca di grandi lotte e delle grandi conquiste persiane, macedoni, fino alla fondazione dell'Impero Romano, il più grande mai veduto. E' periodo di grandi menti innovatrici che pongono le fondamenta dell’evoluzione del pensiero umano, caratteristiche tutte che si attribuiscono al tipo "Ariete".

- Dall'inizio dell'era cristiana si entra nella costellazione dei "Pesci" che è il segno del sacrificio cristiano. I primi discepoli di Gesù erano pescatori, i Pesci sono il simbolo della nuova religione: ed è questo infatti il segno che troviamo in tutte le catacombe. Si ricorda il miracolo della moltiplicazione del pane e dei pesci. La mitra papale ha la forma del pesce. E' l'era delle grandi riforme giuridiche e sociali. Il diritto romano rimane il fondamento di ogni norma giuridica moderna. È periodo di grande fioritura di artisti e poeti; caratteristiche tutte che si attribuiscono al tipo "Pesci".

- Oggi siamo all'inizio di un nuovo ciclo. Stiamo per entrare nel segno dell'Acquario che è il segno dell'indipendenza, della rivolta ad ogni convenzione ed agli inutili sentimentalismi, della meccanica e del progresso, delle grandi scoperte scientifiche ma anche della saggezza, della globalizzazione e della fratellanza universale, della spiritualità e delle conoscenze ultraterrene. Tutte cose che già oggi sono nell'aria e che si sentono come profonda esigenza.

         E prima del 4.300 a.C.? I popoli di quell’epoca (classificati come cavernicoli) non hanno lasciato tracce rilevabili per poter avanzare delle ipotesi certe. Da recenti scoperte degli egittologi emerge la tesi per cui la sfinge non apparterrebbe alle dinastie faraoniche, ma risalirebbe al 10.000-11.000 a.C. Sinora tutti gli storici avevano ricusato le prove su questa datazione in quanto avrebbero dovuto riscrivere tutta la storia: in quel periodo infatti era stato collocato l’uomo delle caverne. A favore della maggiore longevità dei monumenti egizi c’è l’ipotesi per cui le piramidi non furono costruite dai faraoni in quanto molto più antiche. Essi si sarebbero limitati ad usarle e scolpirle per i propri riti funebri. Peraltro è noto che la forma della testa della sfinge è troppo piccola rispetto al corpo e sono sempre di più gli esperti che ipotizzano come essa in origine avesse la testa di leone e che solo dopo migliaia di anni fu riscolpita dandogli le sembianze del figlio di Cheope. Se questo fosse dimostrato avremmo una colossale testimonianza dell’esistenza, ben oltre 12.000 anni prima di noi, di una grande civiltà evoluta che possedeva una conoscenza considerevole dello spazio cosmico. Accettata l’ipotesi per cui la sfinge raffigurasse un leone, non sarebbe un caso che il suo sguardo sia rivolto ad est. Calcoli astronomici sofisticati hanno accertato che la costellazione del Leone sorgeva ad oriente, immediatamente prima del sole, nel 10.450 a.C. D’altra parte questa retrograda datazione spiegherebbe i segni di erosione della sfinge (è già stato dimostrato che sono erosioni dovute all’acqua) quale testimonianza delle nefande distruzioni del diluvio universale di “antidiluviana” memoria. Non risulta che in altre epoche il sito della sfinge possa aver avuto inondazioni così incidenti da creare simili abrasioni. È peraltro noto che per migliaia di anni prima della sua scoperta essa sia rimasta sepolta nelle sabbie del deserto.

          La mia personale interpretazione, sulla base dell’ampia letteratura specifica, è quella che sia esistita in antichità una civiltà molto sofisticata che si sviluppò in maniera diversa dalla nostra. Una civiltà meno individualista e meno incline al possesso e alla materialità, ma più spirituale, cosmica e integrata con l’Uni-verso di cui facciamo parte.

Ancora 3

I limiti della genealogia

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       Non ho mai dato molta fiducia agli alberi genealogici in quanto tendono a far credere che la discendenza umana si ramifichi nel passato indefinitamente. In realtà quando si riesce a disegnare un albero genealogico abbastanza indietro nel tempo, a un certo punto le linee dinastiche iniziano a intrecciarsi notevolmente. Per rendersene conto è sufficiente fare un po’ di conti. Cent’anni di storia corrispondono a circa 4 generazioni. Mille anni a 40 generazioni. Ognuno di noi ha due genitori, quattro nonni, otto bisnonni, 16 trisavoli e così via a ritroso. Per ogni generazione che si prende in esame il numero degli antenati raddoppia. Seguendo questa regola, 40 generazioni orsono corrisponderebbero a 240 avi che equivarrebbero a circa mille miliardi, una cifra enormemente superiore a tutta la popolazione mai esistita sulla terra. In effetti la genealogia conta in modo contrario alla demografia: mentre la prima determina numeri crescenti sino a diventare enormi nelle età remote, l’evoluzione della popolazione, vista anch’essa a ritroso, si riduce costantemente sino probabilmente a unificarsi nei due progenitori della specie. E’ noto infatti che la crescita demografica degli ultimi 1000 anni (e in particolare degli ultimi 200-300 anni) è un fenomeno senza precedenti, la cui portata e i cui effetti sfuggono in buona parte alla nostra attuale comprensione. Si pensi che la maggioranza dell'umanità è vissuta tra il 1700 e il 2010 piuttosto che nei 140.000 anni precedenti. Oggi siamo oltre 7 miliardi. Le persone vissute negli ultimi 100.000 anni sono 82 miliardi e quelle degli ultimi 10.000 anni sono 37 miliardi (quindi quelle attualmente in vita ne rappresentano un sesto). Queste le progressioni che in tutta evidenza vanno esattamente al contrario del conteggio genealogico.

         Centomila anni fa il pianeta nel suo sterminato territorio ospitava solo circa 15.000 coppie di “sapiens” dai quali è discesa, senza alcuna eccezione, tutta l’umanità. Se ne deduce che quei 30.000 individui discendessero, andando a ritroso nel tempo, da un unico ominide o una coppia di ominidi rappresentanti gli antenati di tutti.  Avendo i geni in comune con le scimmie è da ritenere che da qualche parte, milioni di anni prima, vivesse l’antenato delle scimmie e degli uomini e così via: mezzo miliardo di anni fa il mio avo era un pesce e due miliardi di anni fa, forse, i miei antenati erano microbi. La biologia avvalora il ragionamento suesposto: la vita sulla Terra discende da un unico antenato comune, con buona pace dei sensi di coloro che vantano importanti pedigree o di essere nati, in un lontano passato, da lombi blasonati. Ognuno di noi, ammesso di riuscire a risalire alle generazioni più lontane, troverebbe avi nobili o importanti. In caso contrario potrebbe sempre fregiarsi di avere tra i suoi antenati addirittura Adamo ed Eva che, quasi certamente, rappresentano la coppia più “in” e famosa del mondo.

    Anno                   Popolazione

100.000 anni fa            30.000

70.000 anni fa              60.000

40.000 anni fa            800.000

10.000 anni fa          8.000.000

3000 a.C.               40.000.000

1500 a.C.               80.000.000

Nascita di Cristo    160.000.000

1000                    254.000.000

1500                    459.000.000

1750                    770.000.000

1900                 1.522.000.000

1950                 2.480.000.000

2000                 6.000.000.000

Ancora 4

Memorie dei tempi andati

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        Bevevamo l'acqua dal rubinetto della cucina o dalla canna del giardino. I nostri giochi erano il pallone, i bullini (le biglie), le figurine mentre le femminucce saltavano dentro una “campana” disegnata col gesso sulla strada. Non producevamo rifiuti se non in quantità risibile. L'umido di oggi era il pastone che portavamo alle galline che razzolavano nel giardino del vicino. Per quanto possa sforzarmi non ricordo di aver mai veduto gettare generi alimentari. Tra l'altro il frigorifero doveva ancora entrare nelle case e gli acquisti erano praticamente quotidiani. Il pane avanzato aveva decine di modi di riutilizzo.

La carta rappresentava un valore non solo culturale. Per quella leggera, con cui era incartato il pane, si determinava la corsa per accaparrarsela prima degli altri per le necessità corporali. Del resto la carta igienica era ancora sconosciuta e chi perdeva la corsa poteva incappare sulla carta con cui era avvolta la carne, ben più spessa e grezza. Hanno letto più giornali le mie chiappe che i miei occhi. Le confezioni di cartone costavano più del prodotto che ci dovevi trasportare. La plastica e i blister non esistevano e quindi nessuna busta né contenitori vari da dover gettare. Le poche confezioni di latta esistenti erano gelosamente conservate dalle mamme per i biscotti fatti in casa e per i bottoni tolti da vecchi vestiti diventati stracci per pulire casa. Il vetro rappresentava un tesoro. Se non riportavi indietro la bottiglia vuota il latte e altri liquidi ti costavano ben più cari mentre per l'olio e il vino ognuno aveva le proprie damigiane da cui attingeva per riempire all'occorrenza le preziose bottiglie possedute per l'uso quotidiano. L'acqua frizzante si otteneva versando nella cara bottiglia con tappo a molla una bustina di Idrolitina (bicarbonato con acido malico e tartarico). Il rifiuto indifferenziato era praticamente sconosciuto perché tutto ciò che avanzava poteva svolgere ancora un suo servizio. Rivedo ancora mio padre fondere i tubetti di dentifricio esauriti per ricavarne il piombo da barattare con i piombini che usava per costruirsi le cartucce da caccia. Insomma la vita era senz'altro meno comoda di oggi ma molto più semplice.

        I pochi e poveri giocattoli esistenti li ricevevamo per il compleanno e per la Befana. I nostri genitori ci facevano dei regali per affetto, non per sensi di colpa, né per dare sfogo alla compulsione del consumismo. Passavamo giornate intere a costruirci i nostri giocattoli, gli unici di cui potessimo disporre. Utilizzando i contenitori di legno del gelato all’ingrosso, li forgiavamo con il seghetto a mo’ di elmo medievale per poi dipingerli con i colori delle contrade storiche di Arezzo. Con essi e con un buratto molto artigianale si ripeteva nel nostro piccolo la giostra del saracino che si correva quasi costantemente sulla piazzetta sotto casa che con l’occasione si riempiva di ragazzi a cavallo di scope a mo’ di destrieri. Penso che oggi arriverebbe la polizia nel giro di due minuti tanti erano gli schiamazzi. Un altro gioco molto praticato all’epoca consisteva nel costruire un missile rudimentale (spesso una carta spessa veniva attorcigliata a cono) sulla punta del quale era ricavata un’ogiva nella quale veniva inserita una lucertola acchiappata al momento; sotto la base vuota veniva posto del carburo, ad esso era aggiunta acqua e dato fuoco con un fiammifero. La gara veniva vinta da chi riusciva a mandare più in alto la lucertola che spesso si trovava ad affrontare salti anche di 20 metri.  Altri giocattoli che ci costruivamo da soli erano gli archi e le frecce e in questo campo eravamo diventati quasi dei provetti artigiani per quanto belli ed efficienti essi fossero realizzati utilizzando ombrelli dismessi. L’arco era ricavato dalle stecche intere mentre le frecce erano ottenute dai raggi che rompevamo in modo che restasse l’inforcatura per il filo dalla parte dell’attacco, l’altra estremità veniva appuntita pazientemente sfregandola sulle pietre più dure.  Con tali armi risalivamo il fiume a caccia di rospi, salamandre, lucertole e quant’altro si muovesse sull’erba. In altri casi servivano nelle guerre di quartiere tra noi del Sant’Andrea e l’acerrimo nemico Colcitrone.  Ci procuravamo abrasioni, qualche osso rotto e qualche gamba sforacchiata dalle frecce ma non c'erano mai denunce, erano soltanto incidenti: nessuno ne addossava la colpa. Molti adulti vedevano queste battaglie ma nessuno si è mai sognato di chiamare le forze dell’ordine. Il fondo delle casse di legno per noi era una ricchezza, diventava ben presto, con quattro cuscinetti a sfera, il nostro go-kart. Con esso ci lanciavamo per una ripida discesa, i freni consistevano in una corda che abbassava sulla strada un pezzo di legno. Spesso ci sfracellavamo contro un albero o un marciapiede e imparavamo a risolvere i problemi da soli perché se ci facevamo male e piangevamo, il lamento doveva durare poco per evitare che ci sentissero i genitori, sempre elastici e disponibili ma che diventavano delle belve se ti trovavano addosso i lividi. Sapevamo che quando i genitori dicevano "NO", significava proprio NO. Le nostre iniziative erano nostre, le conseguenze, pure. L'idea che i nostri genitori ci avrebbero difeso se trasgredivamo a una norma non ci sfiorava; loro erano sempre dalla parte della legge e del rispetto per gli altri. Quante volte nel farmi il bagno nella tinozza, mia madre ebbe a scoprire dei lividi (che non potevo nascondere) di frustate nelle gambe che all’epoca i maestri erano soliti comminare agli alunni disattenti e quante sculacciate seguivano perché confessassi che cosa avessi combinato a scuola per meritare quei lividi. Talvolta le percosse erano talmente insopportabili che dovevo cedere. Una volta reo confesso, mia madre, lungi dal denunciare il maestro che aveva osato picchiare il figlio, spesso per mancanze modeste, si preoccupava soltanto di mettermi in castigo proporzionato alla gravità del mio comportamento. La libertà di cui godevi aveva il suo prezzo e forse devo a quella libertà, a quelle punizioni e a quella responsabilità se nel tempo ho imparato a gestirli al meglio. Uscivamo da casa al mattino e giocavamo tutto il giorno; i nostri genitori non sapevano dove fossimo, bastava loro sapere che non eravamo in pericolo. Non esistevano i cellulari e neanche i telefoni fissi. Ricordo che quando si giocava a “visti e presi” l’area di svolgimento del gioco diventava tutta la città entro le mura. Una volta ne beccai quattro nella cantina di uno di loro dove tranquillamente stavano giocando a carte convinti di farla franca.

        La colazione consisteva in una tazza di latte riempita di pane secco avanzato giorni prima. All’inizio della scuola tutte le mattine si beveva l’uovo fresco o uno zabaione allungato con gusci d’uovo finemente tritati. Le uova all’epoca venivano dai contadini e non erano pulite e brillanti come oggi, spesso erano ricoperte dagli escrementi della gallina; con noncuranza davamo una passata col palmo della mano, con l’ago facevamo un foro nel fondo, rompevamo quanto necessario e giù a trangugiare. La merenda consisteva in pane con l’olio o inzuppato di acqua e ricoperto di zucchero. Io spesso ammorbidivo il pane zuccherato con una miscela di acqua e vino: ne andavo ghiotto. Ingozzavamo tanto pane e calorie ma eravamo tutti magri come stecchini. Ci dividevamo un’aranciata con gli amici, dalla stessa bottiglia e nessuno si è mai ammalato. 

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