top of page
Ancora 1

Le origini della nostra personalità

1a Cap III.jpg

Per fare un parallelismo informatico, la nostra mente alla nascita è paragonabile a un hard disk vergine che viene scritto man mano che i genitori, l’ambiente e altri soggetti forniscono le informazioni. Da piccoli assorbiamo come spugne tutti i dati destinati a formare il programma mentale che si realizza nei primi tre anni di vita e si perfeziona nei successivi 8-9 anni. Il cervello infatti si sviluppa in modo incredibile nelle prime fasi della crescita sino a raggiungere, nei primi 3 anni di vita 1.000 trilioni di sinapsi. Dopo questo culmine, l’attività cerebrale si riduce drasticamente e continuamente nel corso degli anni successivi. E’ sufficiente pensare alla mole di registrazioni che avvengono nel nostro encefalo nei primi anni di vita per comprendere come queste incidano profondamente il nostro disco/cervello che, programmandosi autonomamente e al di fuori della nostra volontà, diventa responsabile delle convinzioni profonde che spesso e volentieri da adulti influenzeranno i nostri comportamenti e la nostra vita di relazione. Il cervello è in grado di processare in un solo secondo una mole impressionante di informazioni (stimate in 400 miliardi), ma noi siamo coscienti di un numero minimo di esse (circa 2 mila). In questo periodo si riceve l'impronta di base che conterà non solo per la futura capacità di amare il prossimo e di avere uno sviluppo psichico equilibrato, ma anche per quella di in­teressarsi alle cose, di memorizzare, di attivare i circuiti cerebrali, e di sviluppare, in definitiva, l’intelligenza e la creatività. È stato dimostrato inoltre che per apprendere (memorizzare) è necessario che siano coinvolte anche le emozioni. Un'emozione si dirama verso le viscere e verso la corteccia, dove crea delle situazioni biochimiche più attive per il fissaggio delle memorie. In altre parole, per imparare, un individuo deve essere toccato nelle sue emozioni, nella sua affettività: un avvenimento neutro, o un ambiente neutro, non è in grado di stimolare il cervello. Queste prime esperienze emozionali attivano un programma occulto che sfugge alla nostra consapevolezza.  Un individuo, come una cellula, tende ad adattarsi alle richieste ambientali, e ogni scelta che compie lo porta a diventare sempre più diverso e sempre meno recuperabile. Ci si può specializzare in intel­ligenza, o in ritardo mentale. Dipende dalle strade che si imboccano. Miliardario del cervello alla nascita, un bambino si può ri­trovare povero intellettualmente al momento dell'ingresso nel­la scuola, perché l'ambiente non ha saputo amministrare e stimolare l'immenso patrimonio che era in lui. E questo sviluppo sfugge all’ambito razionale perché opera molto sulla parte emotiva e inconscia della nostra mente. Alla nascita il bimbo impara istintivamente a riconoscere il volto dei genitori entro i primi giorni. Basta osservare come si concentra sul volto della madre e del padre. Già dopo 2-3 settimane egli è in grado di capire dagli occhi dei genitori se sono felici, arrabbiati o in ansia. Questo perché i genitori sono il veicolo del suo apprendimento e per questo ne ricerca il volto dopo ogni cosa che fa: lancio di un oggetto per terra, inciampo e caduta, tirata dei capelli, toccamento del computer di papà, ecc. In base all’espressione di approvazione, di apprensione, di ansia dei genitori il bimbo apprenderà il modo di comportarsi. Se, appena caduto per terra senza farsi male, vedrà negli occhi dei genitori ansia e spavento si metterà a piangere, se invece vedrà sorriso e noncuranza, il bimbo resterà tranquillo e si rialzerà senza problemi. In quasi tutte le circostanze nei primi 2-3 anni il comportamento del bimbo sarà guidato dai sì! Dai no! E dalle espressioni dei propri genitori. Se queste reazioni non saranno uniformi, probabilmente diventerà un adulto insicuro. Dopo i 2-3 anni il bimbo acquisirà le capacità derivanti dall’immaginazione, prima, e dalla consapevolezza, poi. Ma a quel punto il programma mentale (la visione del mondo e l’identità personale) sarà quasi concluso operando attraverso l’inconscio che pesa più del 95% sul conscio e la parte razionale. Da adulto non sarà in grado di capire la ragione della propria personalità in quanto acquisita, attraverso la componente inconscia, in un periodo di assenza di consapevolezza. I nostri comportamenti ridondanti e disfunzionali provengono dalle registrazioni del nostro inconscio che hanno coinvolto l’emotività nei primi anni di vita. Non necessariamente si tratta di accadimenti cruenti per un verso o meravigliosi per l’altro. Possiamo fare esempi pratici per avvicinarsi maggiormente agli ambiti della psicologia che spesso è chiamata a curare situazioni cliniche provenienti dai tempi lontani in cui forse dovevamo ancora muovere i primi passi.

-  Un bimbo nella culla piange (ha fame o si è bagnato o ha male al pancino, ecc.) ma, nonostante le sue grida disperate, non arriva nessuno a dargli conforto. La madre è nel terrazzo a stendere i panni e non può sentirlo. Il cervello del bimbo vive questa esperienza in modo traumatico in quanto, nella fase percettiva e con le sinapsi a 1000, registra la sensazione di non essere considerato. Egli non è in grado di razionalizzare il perché nessuno risponde, il suo cervello si limita a registrare questa brutta sensazione e nella misura in cui tale registrazione del senso di abbandono sarà profonda, condizionerà il suo comportamento per tutta la vita a causa di un meccanismo relazionale ridondante. In effetti, un individuo che agisce in base alla premessa “non piaccio a nessuno” si comporterà in modo sospettoso, difensivo o aggressivo. Gli altri reagiranno con antipatia confermando la premessa da cui il soggetto è partito. Il dramma della perversa spirale relazionale che si determina sta nel fatto per cui tale individuo (ex bimbo che non ebbe risposta al pianto) dal punto di vista emotivo è del tutto inconsapevole del proprio comportamento in quanto attivato dal suo programma mentale registrato nell’inconscio; dal punto di vista razionale (conscio) è del tutto convinto di reagire giustamente al comportamento antipatico degli altri e non di essere stato lui a provocarlo.

- Se per non disturbare il nostro riposo i genitori hanno coperto la culla con una tenda e noi ci svegliamo con la sensazione di essere stati rinchiusi in un ambito angusto e nonostante le nostre urla nessuno viene a consolarci è molto probabile cha da adulti soffriremo di claustrofobia e, probabilmente eviteremo di prendere l’ascensore.

- Se ad un bambino il serpente è stato associato al diavolo e descritto come un essere malefico tanto da suscitargli una forte emozione negativa, da adulto reagirà con disgusto e paura alla sua vista.

- Se da piccolo sono stato morso da un cane, in forza del grado di paura ed emozione provata, molto probabile che alla vista di un cane tenda a dileguarmi; comportamento opposto a quello di un mio vicino che corre ad accarezzarlo perché magari ha fatto esperienza del cane sin dalla nascita e dalla cui compagnia ha tratto solo emotività positive.

            Questi esempi spiegano anche perché molti casi clinici si risolvono attraverso la regressione. I nostri comportamenti, il nostro modo di relazionarci con gli altri, dipendono essenzialmente dalle esperienze vissute nei primi anni di vita: talvolta addirittura del tutto inconsapevolmente, talaltra con più o meno consapevolezza del ricordo razionale dell’esperienza stessa. In questo caso un bravo psicologo può risolverci il problema che sta in noi e solo in noi e non, come quasi sempre pensiamo, sugli altri.

Snoopy.jpg
Ancora 2

Le nostre credenze non sono

la realtà oggettiva

1a Cap III.jpg

Le esperienze traversano continuamente il cervello e lasciano una trac­cia materiale nella rete cerebrale dove si avvia la costruzione dei tracciati neuronali. Esse arricchiscono la rete nervosa e costruiscono l'ar­chivio esperienziale: all’inizio tutte le combinazioni sono pos­sibili, poi a mano a mano esse si riducono. Alla nascita il sistema nervoso può, in teoria, sviluppare innumere­voli connessioni, tutte ugualmente probabili. Poi, con le suc­cessive esperienze, i tracciati diventano sempre più fitti e le probabilità iniziali diminuiscono poiché vengono ad inserirsi in una trama già disegnata in modo sempre più dettagliato. Potremmo pen­sare a un terreno vergine sul quale deve sorgere una città: sul terreno si potrebbe disegnare in teoria qualsiasi tipo di tracciato. Ma via via che cominciano a sorgere viali e palazzi, piazzette e vicoli, la città prende for­ma, diventa sempre più densa di edifici e di strade, e sarà sem­pre più difficile modificare la sua fisionomia. Ogni esperienza contribuisce alla costruzione di una rete di sì e di no lungo la quale ven­gono automaticamente smistate e canalizzate le sensazio­ni che formeranno le credenze. Le CREDENZE consistono in ciò che noi crediamo essere vero o falso, e derivano da interpretazioni di eventi o di azioni. Non sono gli eventi esterni della nostra vita a modellarci ma le nostre convinzioni sul significato di tali eventi. Le credenze sono quelle che ci daranno certezze; sono forze guida che ci indicano che cosa ci condurrà al dolore e/o al piacere. Sono in genere espresse come una sorta di Vangelo personale, con espressioni quasi normative, del tipo "l’amore non esiste al di fuori della famiglia", oppure "quando sono sicuro di qualcosa niente può fermarmi". Le credenze investono un po’ tutte le aree della vita (il futuro, il destino, la gente, l’amicizia, la religione, le abitudini, ecc.). In realtà le credenze sono menzogne e sono filtri alle informazioni che provengono dall’esterno. Quasi sempre ci dimentichiamo che ogni credenza è solo un'interpretazione personale. Quello in cui noi crediamo, e il modo in cui ci comportiamo, derivano dalle infinite registrazioni, attivate da piccole o grandi emozioni, che infine determinano, insieme ad altri fattori, la nostra individualità. La maggior parte della gente non è consapevole di questi meccanismi in quanto sfuggono dalla consapevolezza e dalla razionalità. Anzi le emozioni più forti che non vengono razionalizzate come accadimenti naturali e/o immutabili sono quelle che lasciano il segno nella nostra psiche e, se vissute come traumi, possono dar luogo a veri e propri disagi psichici. Disagi che si manifestano in un modo anormale di rapportarsi a se stessi o agli altri (bulimia, anoressia, bipolarità, attacchi di panico, bipolarismo, aggressività, ecc.). Essi sono un segno evidente di patologia psichica, tuttavia l’individualismo, il solipsismo e il bisogno di status attualmente imperanti portano colui che ne soffre a imputarne la responsabilità agli altri (mancato amore, incomprensione, ecc.). Oggi la maggior parte della gente non va dallo specialista della mente perché in cuor suo significherebbe incolpare se stessi delle situazioni negative di relazione e ammettere di avere un problema. Spesso la sua psiche rifiuta addirittura l’esistenza di un problema tendendo a scaricare la colpa su cause fisiche fino ad assumere medicinali inutili e dannosi. Sono pochi illuminati, o particolarmente disagiati, coloro che riescono ad accettare di rivolgersi a uno psicoterapeuta.

La mente umana non può conoscere se stessa utilizzando solo se stessa perché essa è auto-referenziante. Tutti gli umani tendono ad auto-ritenersi i più buoni, i più bravi, evoluti e migliori - indipendentemente da ciò che sono - e tendono a giudicare gli altri relativamente a se stessi, giudicando negativamente chiunque si dimostri disallineato dalle proprie credenze. Gente infelice e devastata che crede di essere felice e illuminata. Gente razionale che crede di essere spirituale, gente disonesta e distruttiva che crede di essere onesta e costruttiva, gente infelice che crede di essere felice. Malvagi che credono di essere Buoni, Il Male che crede di essere il Bene. Tutto ciò che è Umano è Relativo a se stesso. E’ eclatante l’ostentata religiosità dei mafiosi. Puoi accorgerti di essere divenuto più obiettivo solo dopo che la tua mente sia riuscita a osservarsi in una prospettiva più grande della precedente. Oggi invece in mancanza di conoscenza di una materia si tende a ignorarla o sminuirla piuttosto che a dichiarare la propria ignoranza.

Il sapere teorico condiviso è immenso, le nostre menti sono sature di informazioni: ovunque rivolgiamo la nostra attenzione vi è sempre qualcuno che vuole insegnarci, consigliarci, venderci, suggerirci, dirci o imporci qualcosa. Anche cosa è bene cosa è male, cosa è giusto cosa è sbagliato, in cosa dobbiamo credere, cosa dobbiamo pensare e cosa dobbiamo fare, riguardo a qualunque fatto persona o circostanza. Teorie tutte apparentemente giuste, anche se spessissimo in contraddizione l'una con l'altra, che alla fine conducono a crisi, a conflitti e a infelicità.

Ancora 3

Conflitti tra la mente conscia e inconscia

1a Cap III.jpg

La mente inconscia è in grado di elaborare 40.000.000 di bit d’informazioni al secondo provenienti dall’ambiente. E’ una mente molto potente e veloce ma è abitudinaria, ripetitiva e può fare il playback dei programmi che ha appreso dalla mente conscia. E non potrebbe essere altrimenti in quanto il subconscio soprintende le nostre funzioni vitali, motorie, cardiache, dell’equilibrio, digestive ecc. anche se svolte contemporaneamente. Non ama le novità ed è tesa a mantenere lo status quo. La mente inconscia pensa in concreto e conosce la realtà attraverso i cinque sensi. Non percepisce il tempo.

La mente conscia garantisce una potenza di calcolo aggiuntiva ma molto più lenta in quanto è in grado di elaborare 40 bit al secondo rispetto al subconscio che è quindi un milione di volte più potente. La coscienza è creativa e in grado di gestire il libero arbitrio. Stabilisce obiettivi ed è disposta a provare cose nuove. La mente conscia è in grado di pensare in astratto, è concettuale, è quella che legge questo libro. E’ la mente conscia che nel tempo concretizza i programmi registrati dal subconscio: senza questa trasmissione, ogni mattina dovremmo imparare di nuovo a camminare, a leggere, a scrivere, a nuotare, ecc. Essa è collegata al tempo il che significa che è basata sul passato e sul futuro sui quali rimugina continuamente.

Quest’altro Io inconscio dentro di noi è la sede della memoria e delle emozioni. Se da piccolo è stato maltrattato, il Sé Inconscio (chiamato anche Sé Istintivo) diventerà insicuro e pauroso. Se non ha ricevuto affetto dai genitori il Sé Inconscio diventerà bisognoso di affetto o magari ribelle. Da adulti vorremmo creare rapporti maturi e amorevoli con un partner, ma il Sé Inconscio si rifiuta: ha paura di essere ancora abbandonato e fa di tutto per fuggire dal rapporto. Ci fa fare brutte figure, compie qualche gesto insensato che delude il nostro partner fino a che il rapporto si degrada fino a rompersi.

È l’Inconscio che ha memorizzato tutti i traumi mentre stavamo crescendo e non li ha dimenticati. Noi, l’Io Conscio, non ci pensiamo più, vorremmo andare avanti e vivere felici senza pensieri, lui invece non dimentica. Lui ha bene in mente tutto ciò che abbiamo subito e ha paura di soffrire ancora.

E’ fondamentale accettare quest’altro Io dentro di noi, aiutarlo a superare i suoi limiti, le sue paure per trasformarlo in un amico, in un fedele alleato. Se non lo facciamo, lui diventerà sempre più forte, capisce che noi non intendiamo gestirlo e allora fa ciò che vuole. Segue il suo istinto e prende in mano la situazione. Va dove gli fa più comodo, dove trova ciò che gli dà piacere, evitando ciò che gli provoca fatica o dolore. E noi, da potenziali padroni di noi stessi, diveniamo vittime. Non riusciamo più a controllarlo e allora ci compiangiamo pensando che ormai quello è il nostro destino e che non ci sono alternative. Tenderemo a darne la colpa agli altri o alla natura in genere che ci ha creati così infelici. Vorremmo essere diversi, interagire con gli altri in modo sano e amorevole, Ma non ci riusciamo e a volte ci detestiamo per questo. In realtà ce la prendiamo con il nostro Sé Inconscio a suo tempo maltrattato da genitori e insegnanti e ora siamo noi a trattarlo ancora peggio, rifiutandolo. Come potrebbe mai essere un amico fedele? Un Sé Inconscio chiuso, arrabbiato, pauroso, ci conduce a una vita di fatica psicologica, di dolore, di relazioni sbagliate. Ci porta ad essere sempre in guardia, ad essere diffidenti, insicuri, gelosi. E tali atteggiamenti, ovviamente, vengono percepiti dagli altri, anche se cerchiamo in tutti i modi di nasconderli, e il frutto di tali atteggiamenti lo sperimentiamo continuamente. Dobbiamo imparare ad amare il nostro Inconscio, non esiste alternativa, non esiste cambiamento senza il suo appoggio, senza un’accettazione piena e incondizionata di ciò che noi stessi siamo. Se continuiamo a considerare un nemico le parti di noi che non accettiamo, il Sé Inconscio ci impedirà ogni cambiamento perché è più forte della nostra volontà. Allora ci chiediamo: come poter essere responsabili delle nostre azioni e dei nostri comportamenti se non possiamo agire sulle nostre credenze che si trovano, nonostante la nostra buona volontà, in un luogo da noi così irraggiungibile?  Numerosi studiosi ritengono che si possano riprogrammare le credenze disfunzionali del nostro subconscio per migliorare il rapporto sia verso noi stessi che verso gli altri. Esistono vari metodi per riuscirci…

Ancora 4

Il potere delle spinte motivazionali

1a Cap III.jpg

Le spinte motivazionali non sono soltanto di tipo elementare come la sete e la fame, ma possono essere molto complesse. Nelle società occidentali la civilizzazione ha portato tanti e tali cambiamenti che hanno reso molto più complessa la nostra esistenza, aggiungendo una tale quantità di bisogni che, agli occhi di culture meno evolute, risultano incomprensibili e perfino ridicoli. Spesso le motivazioni non sono chiare agli stessi individui, molte persone attraversano delle crisi esistenziali nelle quali non riescono più a capire cosa vogliono dalla loro vita o a comprendere i motivi profondi che guidano i loro comportamenti. Questi inoltre sono influenzati da bisogni sia consci che inconsci; ciò significa che noi siamo spesso all'oscuro dei veri motivi del nostro agire.

Per comprendere meglio di cosa stiamo parlando, riteniamo essere particolarmente utili gli studi di Maslow che nel 1954 elaborò la “piramide dei bisogni”. Secondo Maslow il comportamento umano è diretto e motivato dai bisogni fondamentali comuni a tutti gli esseri umani. Tra di essi i bisogni fisiologici sono i più prepotenti di tutti. Se i bisogni fisiologici risultano insoddisfatti tutti gli altri, quelli più alti e nobili, possono essere annullati e respinti nell’ombra. La sicurezza, la libertà, l’amore, il rispetto, la filosofia sono tutte cose che possono essere messe da parte come sciocchezze inutili perché non riempiono lo stomaco. Secondo Maslow qualora il bisogno di un individuo sia gravemente insoddisfatto, questi svilupperà una visione della vita condizionata e dominata da quella mancanza. Il suo comportamento cioè sarà orientato verso il raggiungimento dello scopo particolare oggetto del bisogno.   

Avvalendosi delle conoscenze in altri settori abbiamo potuto collegare razionalmente i principi della scala dei bisogni con altri fenomeni comportamentali, culturali ed economico-sociali. A ben guardare l’evoluzione espressa dalla piramide di Maslow, ripercorre la lunga evoluzione umana. E’ facile memorizzare i vari livelli dei bisogni se si immagina quella che è stata l’evoluzione sociale dell’uomo. Si parte dall’uomo primitivo che combatte con gli animali per la sopravvivenza. Il bisogno di nutrirsi è quello che guida quasi completamente le sue attività (1.bisogni fisiologici). Appena riesce ad affinare strumenti che gli consentono aumenti di produttività (pietre aguzze, lance, arco e frecce, ecc.) tali da allentare i morsi della fame, comincia a pensare alla difesa della propria vita (2.bisogni di sicurezza). E’ motivato così a ricercare caverne e/o a costruirsi palafitte che lo difendano dai pericoli. Il successivo maggior tempo disponibile e il livello di sicurezza raggiunto lo spingono alla ricerca di una compagna, di una famiglia e di un’attività sociale (3.bisogni di affetto). Ormai mangia e dorme tutti i giorni, ha una famiglia, dei figli e i vecchi bisogni non contorcono più le viscere come una volta. L’attenzione è ora più rivolta alle attività sociali, a dimostrare che è una persona valida, apprezzata e che sa fare molte cose nell’ambito della nascente comunità (4.bisogni di stima) ove, col tempo e timidamente, comincia a pensare di poterne diventare il capo o di specializzarsi nell’ambito di attività da lui sempre agognate (5.bisogni di autorealizzazione).

È evidente come tali bisogni, originando dal nostro inconscio, abbiano una potenza pari al 95% nell’indirizzare i nostri comportamenti. Da qui le difficoltà a razionalizzare queste continue spinte emotive e a comprendere fino in fondo i nostri stessi comportamenti. In forza di tali caratteristiche più la società si evolve e sale quei gradini della piramide e più si manifestano conflitti sociali e individuali. Quando tutti tenderanno all’autorealizzazione lo spazio di manovra per conseguire l’obiettivo si restringe esponenzialmente emarginando un numero sempre più crescente di individui. Quando per questi ultimi quel bisogno diventerà un imperativo, come lo era il cibo per l’uomo delle caverne, la spinta emotiva che metteranno nell’ambito delle relazioni sociali, determinerà in loro un’aggressività difficilmente razionalizzabile e con le conseguenze disastrose che conosciamo bene perché la storia ne è testimonianza e ce ne rende consapevoli. E la storia ci parla di civiltà che crescono non in modo rettilineo ma a spirale con alti e bassi, grandi sviluppi, guerre e violente ricadute.

E’ indiscutibile che nelle nostre attuali civiltà occidentali i primi livelli di bisogno siano ormai acquisiti stabilmente, per cui restano i bisogni al più alto livello della scala a spingere le azioni degli individui. E’ per questo che sentiamo più il bisogno di diete che di cibo di cui disponiamo in abbondanza o ci lamentiamo sulle difficoltà dei figli a trovare lavoro. In realtà tutti sapremmo come far guadagnare bene nostro figlio: ad esempio basterebbe spingerlo a fare l’idraulico o il lattoniere. Tuttavia siamo bloccati perché nell’immaginario collettivo quel tipo di mestiere non soddisfa il prepotente bisogno di status. Del resto questa è la ragione delle numerose occasioni di lavoro determinatesi per gli immigrati (più in basso nella scala). Potremmo andare avanti all’infinito nel dare spiegazione dei nostri comportamenti, spesso incomprensibili, alla luce della chiave di lettura che ci offre Maslow. Essi rappresentano la cronaca di tutti i giorni: lo studente che si suicida per un cattivo voto, l’accresciuta litigiosità che emana dai programmi televisivi in forza della competitività di status degli interlocutori, lo sviluppo dei reality vissuti come scontro tra personalità, il bidello della scuola che si rifiuta di fare le pulizie, ecc. La scomparsa di vecchie denominazioni: spazzino, commesso, uomo delle pulizie, ecc.

  Nell’abito economico già da molto tempo ci si è orientati su questi nuovi bisogni del consumatore. La pubblicità dai contenuti di utilità del prodotto passa alle emotività fondate su status e differenziazione sociale. Con ogni mezzo sono innescati stimoli a imitare i ricchi e a desiderare i simboli della ricchezza e della prosperità. Questi continui e ripetuti messaggi, spesso subliminali, della pubblicità e del marketing hanno compiuto infine il loro capolavoro: portare a vantaggio dei consumi il concetto di status, vale a dire rendere la capacità d’acquisto il punto di riferimento per soddisfare il bisogno di status.  Il risultato è stato che un individuo oggi è valutato per la sua capacità di acquisto. Nell’immaginario collettivo chi ha raggiunto una posizione di status, non è il professore, non il genio, non il premio Nobel, non il politico illuminato ma colui che con il denaro può fare ciò che vuole. La quantità di beni e servizi acquistabile è oggi la misura, il peso dello status dell’individuo. Attenzione è un ragionamento inconscio, un riferimento irrazionale, ma che agisce di nascosto nel nostro profondo per anni e anni di propaganda pubblicitaria e di slogan che tornano in superficie senza volerlo. Uno stato di cose che in molte persone crea addirittura delle patologie di tipo consumistico-compulsivo. Persone che si sentono realizzate solo acquistando di tutto e di più. Questa nuova “società compulsiva” crea così montagne di rifiuti perché non riesce a gestire i propri impulsi, corre fino a rischiare di compromettere la sostenibilità del nostro pianeta. Si sviluppano i disturbi dell’alimentazione, dell’ansia e dello stress causati da questa collettività dove l’avere “troppo” o il “troppo poco” è la misura dei propri problemi. Un’infelicità condivisa che si contrappone a un mondo edulcorato e comodo che ci viene proposto giornalmente in una anestesia mediatica che censura quotidianamente le vere tragedie del pianeta e nasconde l’irrazionalità del nostro sistema socio economico.

Piramide.JPG
bottom of page